lunedì 29 ottobre 2012

Dino Buzzati, I sette messaggeri

Penso talora che la bussola del mio geografo sia impazzita e che, credendo di procedere sempre verso il meridione, noi in realtà siamo forse andati girando su noi stessi, senza mai aumentare la distanza che ci separa dalla capitale; questo potrebbe spiegare il motivo per cui ancora non siamo giunti all'estrema frontiera.


Ripartirà per l'ultima volta. Sul taccuino ho calcolato che, se tutto andrà bene, io continuando il cammino come ho fatto finora e lui il suo, non potrò rivedere Domenico che fra trentaquattro anni. Io allora ne avrò settantadue. Ma comincio a sentirmi stanco ed è probabile che la morte mi coglierà prima. Così non lo potrò mai più rivedere …
Eppure, va, Domenico, e non dirmi che sono crudele! Porta, il mio ultimo saluto alla città dove io sono nato. Tu sei il superstite legame con il mondo che un tempo fu anche mio. I più recenti messaggi mi hanno fatto sapere che molte cose sono cambiate, che mio padre è morto che la Corona è passata a mio fratello maggiore, che mi considerano perduto, che hanno costruito alti palazzi di pietra là dove prima erano le querce sotto cui andavo solitamente a giocare. Ma è pur sempre la mia vecchia patria.
Tu sei l'ultimo legame con loro, Domenico ... Dopo di te il silenzio, o Domenico, a meno che finalmente io non trovi i sospirati confini. Ma quanto più procedo, più vado convincendomi che non esiste frontiera.
Non esiste, io sospetto, frontiera, almeno non nel senso che noi siamo abituati a pensare. Non ci sono muraglie di separazione, né valli divisorie, né montagne che chiudano il passo. Probabilmente varcherò il limite senza accorgermene neppure, e continuerò ad andare avanti, ignaro.
Per questo io intendo che Ettore e gli altri messi dopo di lui, quando mi avranno nuovamente raggiunto, non riprendano più la via della capitale ma partano innanzi a precedermi, affinché io possa sapere in antecedenza ciò che mi attende.
Un'ansia inconsueta da qualche tempo si accende in me alla sera, e non è più rimpianto delle gioie lasciate, come accadeva nei primi tempi del viaggio; piuttosto è l'impazienza di conoscere le terre ignote a cui mi dirigo.
Vado notando - e non l'ho confidato finora a nessuno - vado notando come di giorno in giorno, man mano che avanzo verso l'improbabile mèta, nel cielo irraggi una luce insolita quale mai mi è apparsa, neppure nei sogni; e come le piante, i monti, i fiumi che attraversiamo, sembrino fatti di una essenza diversa da quella nostrana e l'aria rechi presagi che non so dire.
Una speranza nuova mi trarrà domattina ancora più avanti, verso quelle montagne inesplorate che le ombre della notte stanno occultando. Ancora una volta io leverò il campo, mentre Domenico scomparirà all'orizzonte dalla parte opposta, per recare alla città lontanissima l'inutile mio messaggio.

2 commenti:

  1. Con questo viaggio di Buzzati chiudiamo un primo giro di riflessioni sull’itinerario. Si potrebbe leggere in parallelo al percorso verso la domanda su Dio. Lasciare dietro tutte le sicurezze e mettersi a cercare “l'estrema frontiera”. I primi passi, sono il tentativo classico di mettere il mistero in una scatola. Cercare la frontiera è voler capire i limiti del creato, delle nostre possessioni, e quindi essere padroni della realtà. Diceva un personaggio di “Oceano mare”: “La natura ha una sua perfezione sorprendente e questo è il risultato di una somma di limiti. La natura è perfetta perché non è infinita. Se uno capisce i limiti, capisce come funziona il meccanismo “. Questo è molto ragionevole, ma ingenuo quando uno si mette davanti al mistero. Anche la strada della bellezza, la via pulchritudinis, non ci regala certezze, anche se più entri nel mistero, più luminoso si fa il buio. C’è un punto di svolta nel viaggio: “quanto più procedo, più vado convincendomi che non esiste frontiera … almeno non nel senso che noi siamo abituati a pensare”. Il limite si sposta sempre più avanti, e la frontiera comincia a diventare speranza di arrivarci “all'improbabile mèta”. Se Venezia (l’origine) era per Marco Polo gli occhi dello esploratore (vid. Post del 19.ott.2012) Buzzati forse suggerisce che la frontiera (la fine) è la speranza, il senso di mettersi in viaggio. “Varcherò il limite senza accorgermene neppure”. Si arriva alla frontiera quando uno si rende conto di essere di fronte al mistero, e non guarda dietro: “e continuerò ad andare avanti, ignaro”.

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  2. Lorenzo Ciullini10/11/12, 12:05

    Ciao Jesùs! Mi farebbe piacere condividere sul blog un mio pensiero: mi piacerebbe se potessi pubblicarlo come articolo del blog, se vuoi.

    Leggendo questo bellissimo blog e le sue emozionanti riflessioni sul senso del viaggio e dell'itinerario-ricerca non potevo far a meno di citare la poesia "Itaca" di Costantino Kavafis, poeta greco. Questo testo, che per me assume un significato di particolare importanza per la mia storia personale, è uno dei miei preferiti. Spesso lo rileggo ed ogni volta suscita in me gioia, emozione e stimola la mia riflessione. Anche in questo caso l'autore parla del viaggio e della meta da raggiungere. Non bisogna avere timore di mettersi in viaggio ma dobbiamo avere il coraggio di andare avanti, abbandonare le nostre sicurezze, incamminarci in una direzione: se siamo in pace con noi stessi e con la nostra storia, non vivendo un dissidio interiore nascondendoci qualcosa dentro, allora non incontreremo mostri spaventosi se non li portiamo già dentro di noi. Dobbiamo augurarci che il nostro viaggio sia lungo e non avere fretta di raggiungere la meta. La meta da senso al nostro cammino, la Terra Promessa e l'incontro con il volto di Dio sono la meta che trasforma il nostro viaggio terreno da un peregrinare privo di senso ad un cammino con una meta ben precisa. Non dobbiamo però dimenticarci che è sin da questa nostra esistenza terrena che inizia la vita eterna: è qui nelle cose del mondo che deve aver luogo la nostra santificazione, è nel rapporto con il prossimo che incontriamo Cristo. Non dobbiamo correre verso la meta dimenticando che la meta inizia sin dal nostro viaggio: la costruzione del Regno di Dio inizia sulla terra e la nostra Vocazione inizia ogni mattina quando ci alziamo. Questo è il senso che la meta conferisce al viaggio stesso: meta e viaggio quasi coincidono e appaiono sfumati come due facce di una stessa medaglia.

    Itaca (Costantino Kavafis)

    Quando ti metterai in viaggio per Itaca
    devi augurarti che la strada sia lunga
    fertile in avventure e in esperienze.
    I Lestrigoni e i Ciclopi
    o la furia di Nettuno non temere,
    non sarà questo il genere d'incontri
    se il pensiero resta alto e il sentimento
    fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
    In Ciclopi e Lestrigoni, no certo
    né nell'irato Nettuno incapperai
    se non li porti dentro
    se l'anima non te li mette contro.

    Devi augurarti che la strada sia lunga
    che i mattini d'estate siano tanti
    quando nei porti - finalmente e con che gioia -
    toccherai terra tu per la prima volta:
    negli empori fenici indugia e acquista
    madreperle coralli ebano e ambre
    tutta merce fina, anche aromi
    penetranti d'ogni sorta, più aromi
    inebrianti che puoi,
    va in molte città egizie
    impara una quantità di cose dai dotti.

    Sempre devi avere in mente Itaca
    - raggiungerla sia il pensiero costante.
    Soprattutto, non affrettare il viaggio;
    fa che duri a lungo,per anni, e che da vecchio
    metta piede sull'isola, tu, ricco
    dei tesori accumulati per strada
    senza aspettarti ricchezze da Itaca.

    Itaca ti ha dato il bel viaggio,
    senza di lei mai ti saresti messo
    in viaggio: che cos'altro ti aspetti?

    E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
    Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
    Già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.

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