venerdì 19 ottobre 2012

Italo Calvino, Le città invisibili

« Anche le città credono d'essere opera della mente o del caso, ma né l'una né l'altro bastano a tener su le loro mura. D'una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda»


Dopo il tramonto, sulle terrazze della reggia, Marco Polo esponeva al sovrano le risultanze delle su, ambascerie. D'abitudine il Gran Kan terminava le sue sere assaporando a occhi socchiusi questi racconti finché il suo primo sbadiglio non dava il segnale al corteo dei paggi d'accendere le fiaccole per guidare il sovrano al Padiglione dell'Augusto Sonno. Ma stavolta, Kublai non sembrava disposto a cedere alla stanchez­za. - Dimmi ancora un'altra città, - insisteva.
- ... Di là l'uomo si parte e cavalca tre giornate tra greco e levante... - riprendeva a dire Marco, e a enu­merare nomi e costumi e commerci d'un gran numero di terre. Il suo repertorio poteva dirsi inesauribile, ma ora toccò a lui d'arrendersi. Era l'alba quando disse: -Sire, ormai ti ho parlato di tutte le città che conosco.
- Ne resta una di cui non parli mai.
Marco Polo chinò il capo.
- Venezia, - disse il Kan.
Marco sorrise. - E di che altro credevi che ti par­lassi?
L'imperatore non batté ciglio. - Eppure non ti ho mai sentito fare il suo nome.
E Polo: - Ogni volta che descrivo una città dico qualcosa di Venezia.
- Quando ti chiedo d'altre città, voglio sentirti dire di quelle. E di Venezia, quando ti chiedo di Venezia.
- Per distinguere le qualità delle altre, devo parti­re da una prima città che resta implicita. Per me è Venezia.
- Dovresti allora cominciare ogni racconto dei tuoi viaggi dalla partenza, descrivendo Venezia così co­m'è, tutta quanta, senza omettere nulla di ciò che ri­cordi di lei.
L'acqua del lago era appena increspata; il riflesso di rame dell'antica reggia dei Sung si frantumava in ri­verberi scintillanti come foglie che galleggiano.
- Le immagini della memoria, una volta fissate con le parole, si cancellano, - disse Polo. - Forse Venezia ho paura di perderla tutta in una volta, se ne parlo. O forse, parlando d'altre città, l'ho già perduta a poco a poco.

Illustrazione: William Turner, S. Giorgio Maggiore, 1819

2 commenti:

  1. Dopo il fiume di Bradbury (post del 11.ott.2012), possiamo continuare a parlare di "itinerari". Marco Polo, uno dei più grandi esploratori che sia mai esistito, racconta quanto ha visto alla luce di Venezia. Senza la luce di un origine, di qualcosa che precede a da senso allo stesso concetto di viaggio (e cioè della città natale di Polo) lo sguardo del viaggiatore si riempie di nebbia. Anche il mistero della vita può essere visto così. Dio, come Venezia, non è una tappa in più del viaggio; sono gli stessi occhi dell’esploratore.

    RispondiElimina
  2. ciao Jesus ! complimenti per il blog..
    Come non rimanere affascinati da questo testo.
    "ho paura di perderla tutta in una volta " succede spesso che non riusciamo a trovare parole per descrivere le emozioni che proviamo.Le parole sono il prodotto di pensieri che prendono una piega razionale . Come si può rendere razionale la felicità ? è come se dovessimo spiegare il concetto di infinito... bellissimo testo...

    RispondiElimina